Arabia Saudita, Austria, Grecia, Polonia. Sono alcuni dei paesi dove il Gruppo Teddy crescerà nel 2023 nel settore dell’abbigliamento con i marchi Terranova, Calliope e Rinascimento. Il piano di sviluppo prevede oltre 110 aperture a livello globale in 14 Paesi. L’espansione del Gruppo, che conta attualmente oltre 800 negozi in tutto il mondo (di cui – al 31.12.2022 – 550 di Terranova, 180 di Calliope e quasi 120 di Rinascimento, compresa la formula Fits You), è un obiettivo che l’azienda continua a perseguire con determinazione andando a prediligere partnership con la formula dell’affiliazione in franchising, che caratterizza circa il 70% della rete vendita.

“Continuiamo a investire nella crescita, forti del patrimonio di relazione che sappiamo costruire con i nostri clienti. Prestiamo particolare attenzione a uno sviluppo equilibrato nelle geografie e nel tempo, curando due asset per noi fondamentali: la soddisfazione del cliente e i rapporti con gli affiliati” – ha dichiarato Luca Binci (foto), Direttore Sviluppo della Teddy.

Il Gruppo Teddy ha chiuso il 2022 con oltre 671 milioni di euro di fatturato, registrando un +24% rispetto al 2021. Una crescita importante che supera la media del settore che si attesta intorno al 18% secondo i Fashion economics trends della camera nazionale della moda italiana. Il margine operativo lordo (EBITDA Adjusted) ha raggiunto i 79,6 milioni. Ilpiano di sostenibilità “Everyone Can 2021-2025” prevede oltre 200 azioni per migliorare l’impatto ambientale. Dal 2022 sono stati innalzati i requisiti minimi che un fornitore deve rispettare per entrare a far parte della catena di fornitura del Gruppo. Il Report di sostenibilità è stato redatto ma è ancora “ad uso interno”. Tantissime le iniziative benefiche del “Programma di cittadinanza d’impresa”. Negli anni il Gruppo ha raggiunto 7.000 tra giovani e bambini grazie ai 6 progetti sostenuti in ambito educativo e formativo.

Qui per il Report completo del 2022

“Il mercato immobiliare italiano, dopo l’euforia post pandemica, mostra inequivocabili segnali di appannamento. In un quadro macroeconomico diventato progressivamente meno favorevole, le possibilità di accesso alla proprietà si sono fatte più problematiche. Nello specifico, la perdita di potere d’acquisto, l’erosione della capacità di risparmio e il rialzo dei tassi applicati hanno di fatto messo fuori gioco una quota considerevole della domanda potenziale con conseguenze rilevanti sui mutui erogati e sul numero di compravendite residenziali” – è quanto emerge dal 2° Osservatorio sul Mercato Immobiliare 2023 di Nomisma che ha analizzato anche le performance immobiliari dei 13 principali mercati italiani: Bari, Bologna, Cagliari, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Padova, Palermo, Roma, Torino e Venezia.

Secondo Nomisma, all’interno di questo scenario macroeconomico le famiglie si sono trovate ad essere improvvisamente più fragili, con una propensione al risparmio crollata su valori nuovamente esigui. A questo si accompagna il continuo rialzo dei tassi d’interesse che preclude a molti la possibilità di accedere al necessario sostegno creditizio. La conseguenza dell’accresciuta rischiosità associata dalle banche agli impieghi immobiliari – precisa Nomisma – ha portato ad un calo delle erogazioni con inevitabili ricadute sull’attività transattiva in tutti i comparti.

Nel primo semestre del 2023 la risposta dei valori immobiliari è improntata alla rigidità (+1% semestrale per le abitazioni). L‘andamento dell’inflazione ha fatto sì che l’incremento registrato non sia comunque riuscito a garantire un’effettiva salvaguardia in termini reali.

Secondo Nomisma, la variazione positiva che ha investito i valori immobiliari delle abitazioni è, piuttosto, l’esito di aspettative di crescita dei prezzi da parte dell’offerta. Questo suggerisce la presenza sul mercato di una domanda ancora disponibile a interiorizzare gli aumenti imposti dalla parte offerente. Tuttavia, all’interno dei vari mercati monitorati, l’andamento dei valori mostra differenze dovute principalmente allo sfasamento temporale che ha caratterizzato le fasi di inversione del ciclo immobiliare. Ad esempio, se a Venezia Laguna i prezzi sono in calo per il terzo semestre consecutivo, a Milano la variazione dei prezzi è risultata doppia rispetto a quella media (+2,2% semestrale).

Tempi medi di vendita.

Considerando i tempi medi di vendita, tra i principali indicatori del livello di liquidità del mercato, Nomisma rileva come negli ultimi 10 anni il trend sia stato discendente. La più recente congiuntura, invece, evidenzia l’interruzione di questa tendenza e mostra una contenuta crescita. Nello specifico, i tempi si sono allungati nei mercati di Bologna, Firenze e Roma, con un incremento nella Capitale quantificabile nell’ordine di un mese. L’indagine condotta da Nomisma sugli operatori del settore evidenzia come in media per vendere un’abitazione siano necessari 5,2 mesi.

Locazioni.

l’indice di performance relativo al mercato della locazione, emerge per il quarto semestre consecutivo, una crescita. Complessivamente le abitazioni locate nel 2022 ammontano a poco meno del 6% dello stock disponibile. Nello specifico, la componente delle locazioni di medio-lungo periodo fa segnare una flessione, con un calo superiore al 4% per i contratti ordinari e una riduzione dell’1,5% per quelli di tipo agevolato. La componente di breve periodo, al contrario, vede aumentare dello 0,6% gli immobili locati a canone libero.

Considerando i valori locativi, la maggiore pressione della domanda ha determinato nel primo semestre dell’anno una crescita del +1,7%. Le variazioni più importanti riguardano i mercati di Cagliari, Catania, Padova e Torino (+2%), fino ad arrivare al +3,7% rilevato a Bologna.

L’aumento più sostenuto dei canoni ha comportato un innalzamento dei rendimenti medi, che in media sono dell’ordine del 5,2% lordo annuo.

Nomisma sottolinea anche come negli ultimi 10 anni i tempi medi per locare un’abitazione si siano dimezzati, passando da 4 a 2 mesi. Il mercato più liquido è quello di Bologna, dove per affittare un’abitazione sono necessari soltanto 1,2 mesi.

Secondo Nomisma, con l’aggiunta della componente degli aspiranti proprietari, che temporaneamente si trovano esclusi dalla possibilità di acquisto di un immobile, il comparto della locazione in futuro si rivelerà in tutta la sua inadeguatezza. La domanda composta da famiglie, lavoratori, studenti e turisti compete, infatti, per un’offerta privata troppo esigua e sempre più orientata a privilegiare soluzioni più remunerative, quali gli affitti brevi. Da quanto emerge dall’Osservatorio, gli investitori istituzionali potrebbero coprire almeno in parte il fabbisogno abitativo in locazione, anche se al momento continuano a manifestare un interesse decisamente tiepido verso il settore residenziale.

Infine, prendendo in esame la componente corporate del mercato si rileva un orientamento improntato alla prudenza da parte degli investitori stranieri. Questo ha determinato un crollo degli investimenti, passati dai 6,2 miliardi di euro del primo semestre 2022 ad appena 2 miliardi di euro nello stesso periodo di quest’anno.

Nello specifico, va anche considerato che l’investitore ricerca immobili ESG compliant ma dovrà necessariamente modificare procedure e strutturarsi in tempi brevi a fronte delle richieste che arrivano dall’UE in materia di Tassonomia, SFDR, Pillar3 e CSRD.

Altro tema all’attenzione degli operatori della filiera immobiliare è quello dell’impatto delle riqualificazioni immobiliari sulla sostenibilità ambientale e la ricchezza delle famiglie in assenza di nuovi strumenti finanziari che agevolino il processo, ovvero possibili iniziative e progetti alternativi al decaduto Superbonus 110%.

In questo scenario, per valutare l’entità della futura correzione dei valori immobiliari, per Nomisma sarà cruciale l’esito della crociata antinflazione portata avanti dalla BCE: al momento la prospettiva di atterraggio morbido rimane quella più accreditata, nonostante la possibilità di recessione resti concreta.

Nella foto Il Presidente di Nomisma, Maurizio Marchesini.

Nerio Alessandri di Technogym è sul podio nella classifica dei 30 leader più seguiti su LinkedIn. Lo certifica la società di consulenza di reputazione digitale Pubblico Delirio sul nuovo report Social CEO Lab 2023, il report sulla comunicazione dei CEO italiani su LinkedIn, oltre ai dati, approfondisce stili di comunicazione, strategie editoriali e risultati quali-quantitativi raggiunti nel periodo di riferimento.

Nella Top 30 dei più seguiti, ben ventuno manager sono Group CEO. “CEO di grandi aziende focalizzate sul mercato italiano, multinazionali con Headquarter in Italia ma anche Top Manager italiani alla guida di una multinazionale straniere” – racconta Stefano Chiarazzo, fondatore di Pubblico Delirio e autore per FrancoAngeli del libro “Social CEO. Reputazione digitale e brand advocacy per manager che lasciano il segno” – “Nel bene e nel male, hanno più riflettori puntati e un’audience più ampia a cui comunicano spesso in inglese o in più lingue”.

 

I dati.

I 30 leader aziendali più seguiti su LinkedIn hanno in media 41.900 follower: dato in aumento di 12.600 rispetto a luglio 2022 trainato dall’accelerazione della crescita dei Top 5, che crescono mediamente di 35mila follower. Stabilmente sul podio, Stephan Winkelmann di Automobili Lamborghini (174.200, +52.600), Luca De Meo di Renault Group (122.300, +28.400) e Nerio Alessandri di Technogym (95.400, +25.600).

Tante le sorprese nel resto della Top 10: Cristina Scocchia di Illycaffè (70.500, +28.800) guadagna tre posizioni e si posiziona quarta mentre Claudio Domenicali di Ducati (70.100, +40.000) ne scala sei ed entra nei 10 direttamente al quinto posto. Giampaolo Grossi di Starbucks Italia con i suoi 60.500 follower (+12.000) perde dunque due posizioni e si deve guardare dal maggiore aumento di Andrea Pontremoli di Dallara (51.500, +18.100). Rallentano Francesco Starace di Enel Group (47.600, +3.200) e Corrado Passera di Illimity Bank (47.300, + 1.600), rispettivamente ottavo e nono. Chiude Bartolomeo Rongone di Bottega Veneta (45.700, +15.000). Per la prima volta fuori dai dieci Claudio Descalzi di ENI (45.400, +4.200).

Entra direttamente in 14° posizione Giorgio Santambrogio (32.700 follower) di Gruppo Végé, segnalato dopo la scorsa analisi. Rientra al 20° posto Fabrizio Palermo (21.400), ex Cassa Depositi e Prestiti, dopo la nomina ad Amministratore Delegato di Acea. New entry al 28° anche Andrea Guerra (16.200), che ha recentemente assunto la guida di Prada Group. Clamorosa l’impennata di Pietro Innocenti di Porsche Italia che sale di 32 posizioni e conquista la 19° piazza (21.500, +16.100).

Tra le donne CEO in classifica, oltre alla Scocchia, troviamo Elena Goitini di Gruppo BNP Paribas Italia (25.200, +14.400) che grazie ad un incremento di più del doppio di follower cresce di 9 posizioni e sale al 16° posto, appena sopra a Silvia Candiani di Microsoft Italia (24.100; +3,600). Scendono rispettivamente di dieci e undici posizioni Alessandro d’Este di Ferrero Italia (27°) e Marco Sesana di Generali (29°), praticamente inattivi negli ultimi quattro mesi.

Tra le novità del 2023 la Top 50 disponibile sul sito pubblicodelirio.it. Si distinguono per crescente impegno e conseguente aumento di follower anche Melissa Peretti di Google Italia (10.900, + 8.700, 38° posto) che ha scalato ben 62 posizioni, e Luigi Ferraris di Ferrovie dello Stato (14.100, +9.400, 31°). Tra i nomi nuovi, altri due protagonisti del mondo tech, Adriano Accardo alla guida di TikTok Italia (13.600, 32°) e Marcello Albergoni (8.200, 44°) di LinkedIn Italia. E poi ancora Automotive, con Davide Grasso di Maserati (10.800, 39°) e Radek Jelinek (7.800, 47°) di Mercedes Benz Italia.

Il Gruppo Teddy, che controlla i marchi Terranova, Rinascimento, Calliope, Kitana e QB24Teddy, tra i leader internazionali nel settore dell’abbigliamento, è tra le 16 aziende vincitrici per la prima volta della quinta edizione del Best Managed Companies Award, il premio per le eccellenze imprenditoriali promosso da Deloitte Private, con la partecipazione di ALTIS Università Cattolica del Sacro Cuore, ELITE-Gruppo Euronext e Confindustria Piccola Industria.

Nell’assegnare il premio sono stati valutati sette fattori di successo: “Strategia”, “Competenze e innovazione”, “Impegno e Cultura aziendale”, “Governance e misurazione delle performance”, “Sostenibilità”, “Filiera” e “Internazionalizzazione”.

Il premio è stato assegnato da una giuria di esperti composta da: Fabio Antoldi, professore ordinario di Strategia aziendale presso ALTIS Università Cattolica del Sacro Cuore; Renato Goretta, membro del Consiglio di Presidenza Nazionale di Piccola Industria di Confindustria; Marta Testi, CEO di Elite-Euronext. La cerimonia di premiazione si è svolta martedì 4 ottobre a Palazzo Mezzanotte, sede di Borsa Italiana-Euronext.

“Questo premio ci fa molto piacere perché giunge al termine di un periodo molto complesso in cui non esistevano ricette consolidate per la gestione d’impresa delle aziende retail. Si tratta sicuramente di un riconoscimento per il lavoro di tutti i collaboratori del Gruppo” – ha affermato Alessandro Bracci, Amministratore Delegato di Teddy (foto). “Abbiamo trovato una nostra strada che ha tratto linfa dal nostro modo di essere, dalla nostra cultura aziendale e dalla straordinaria passione e dedizione dei nostri collaboratori. Questo ci ha consentito di continuare a ritmi sostenuti l’espansione dei punti vendita e di concentrarci su digitale e sostenibilità, due nuovi importanti capitoli della nostra storia che ci stiamo dedicando a sviluppare“.

Nel 2022 sono 79 le “Best Managed Companies” (BMC) premiate da Deloitte Private. Presenti da Nord a Sud, le BMC sono più numerose in Lombardia (28% del totale), Emilia-Romagna (16%) e Piemonte (13%). Il 53% delle BMC sono imprese del settore manifatturiero. Metà delle aziende sono a conduzione familiare, una su 10 è quotata in Borsa e il 18% è partecipata da un fondo di Private Equity.

Gruppo Teddy: i dati della crescita 2021

Il Gruppo, che ha affrontato con determinazione le sfide poste dalla pandemia del Covid-19, nel 2021 ha avuto ricavi consolidati pari a 540,2 mln (+9,3% rispetto al 2020). Sul fronte della redditività, l’EBITDA Adjusted (considerando cioè l’effetto dei cambi di valuta) nel 2021 è cresciuto del 61,9% pari a 60 mln rispetto a 37,1 del 2020 (incidenza sul fatturato in deciso aumento a 11,1% vs 7,5% del periodo precedente). Prendendo in considerazione anche il margine lordo realizzato nei punti vendita dei clienti, sia Affiliati che Multimarca, il valore a prezzi retail (Iva compresa) delle vendite dei prodotti nel mondo ha raggiunto circa 920 mln. 120 aperture le nuove aperture nel 2021 rispetto alle 94 inizialmente previste, con una view globale, dall’Austria alle Filippine.

ELENCO COMPLETO DELLA AZIENDE PREMIATE.

«Quest’anno – ha dichiarato Andrea Restelli, Partner di Deloitte e responsabile Italia del programma Best Managed Companies – abbiamo premiato 79 realtà italiane che hanno dimostrato eccellenti capacità manageriali in uno scenario internazionale straordinariamente complesso in cui, sin dai primi mesi del 2021, si sono manifestati numerosi ostacoli alla crescita. Oltre agli impatti della pandemia sulle propensioni al consumo e sulla supply chain, gravata da dif¬ficoltà nell’approvvigionamento di semilavorati e da interruzioni nel sistema dei trasporti, abbiamo assistito al rafforzamento delle pressioni inflazionistiche, che hanno raggiunto livelli record e inciso sulle performance aziendali. Anche in questo contesto le aziende premiate hanno dimostrato capacità di reazione, innovazione e mantenuto standard di eccellenza assoluti»

Le aziende vincitrici del Best Managed Companies Award 2022 sono: Alma Petroli, Alpac, Andriani, Beautynova, Beta 80 Group, Biesse, Calligaris Group, Callipo Conserve Alimentari, Candioli Pharma, Convergenze, Custom, D’Amico D&D Italia, Damiano, DIESSE Diagnostica Senese, Ebano, ECOPACK, Elettronica, Enegan, Epta, Essetre, Eurofork, F.lli Ibba, Fantini Group, Faravelli, Farmol, Ferrari Group, Ferrari Trento, FiloBlu, Flash Battery, Florim, Fluid-o-Tech, Franchi Umberto Marmi, Friul Intagli Industries, Gessi, Gibus, Giorgetti, Gruppo Alfaparf Milano, Gruppo Fervo, Gruppo SGR, Gruppo Teddy, Intesi Group, Irritec, Italian Design Brands, L.M.A., Laica, Lincotek Group, Logistica Mediterranea, Lombardini22, Magazzini Gabrielli, Manuli Ryco Group, Marazzato Soluzioni Ambientali, Master Italy, Molteni&C, MOVI, Mutti, Landoll (Nashi), NT Food, NTE Process, NWG Energia, Opocrin, OVERMACH, Pietro Fiorentini, PQE Group, Raselli Franco, RDR, Readytec, ROELMI HPC, SABAF, San Marco Group, Sanlorenzo, SCM Group, SECO, TAPÌ, Tecno, TESI Group, TESYA Group, Unox, Vici & C., Webranking.

Bene ma non benissimo. Dal 2019 a inizio 2022 le cooperative sono diminuite del 7,4 per cento, segno meno anche per gli addetti – 3,1% in contrapposizione alla crescita degli addetti delle imprese con altra forma giuridica. La Regione però fa la sua parte. Ha supportato le cooperative con una pluralità di azioni e interventi “realizzati in collaborazione con le associazioni cooperative maggiormente rappresentative”. Tra il 2018 e il 2022, le imprese cooperative, escluso il settore agricolo, sono state beneficiarie di contributi per 15,4 milioni di euro a fondo perduto grazie alla legge 14/2014 sull’attrattività. Poi ancora: per l’accesso al credito sono stati attivati altri circa 64 milioni di euro di investimento. Ad ogni modo con un fatturato di 33,7 miliardi di euro, 4.548 imprese cooperative e oltre 235 mila addetti che rappresentano il 13,5% dell’occupazione emiliano-romagnola, quasi il 30% del fatturato del settore delle cooperative in Italia è made in Emilia-Romagna.

I dati dal 3° Rapporto biennale sulla Cooperazione 2020-2021.

Il maggior numero di società è quello della logistica, seguito dal sociale e dalle costruzioni. Il numero delle cooperative cresce solamente in due settori, quello della ristorazione e quello del sociale, due dei comparti che con dinamiche differenti sono stati fortemente coinvolti dall’evoluzione pandemica. Gli addetti nelle cooperative crescono nell’agroalimentare, nell’ICT, nel sociale, nei servizi alle imprese e alle persone. Oltre il 70 per cento degli occupati nel settore del sociale opera in società cooperative, percentuale che supera il 40 per cento nei servizi alle imprese, il 30 per cento nella logistica, il 20 per cento nell’alimentare, il 17 per cento nell’agricoltura, il 13 per cento nell’alloggio e ristorazione. Il settore del commercio vale il 40 per cento del fatturato cooperativo dell’Emilia-Romagna, una quota che ha assunto maggior rilevanza negli anni della pandemia quando il settore ha accresciuto il volume d’affari del 6,6 per cento, a fronte di una sostanziale invarianza di quello totale. In aumento anche l’agroalimentare che vale quasi un quarto del fatturato cooperativo; considerando che il commercio cooperativo è essenzialmente costituito dalla grande distribuzione di prodotti alimentari, ne discende che circa due terzi del volume d’affari della cooperazione emiliano-romagnola è connesso alla filiera agroalimentare.

Rimini è la provincia con la minor incidenza sul totale dell’occupazione provinciale (6%), Reggio Emilia quella con il valore maggiore (19%). Oltre il 16% anche Ravenna, Forlì-Cesena e Bologna. Il numero delle cooperative è in diminuzione in tutte le province, le flessioni più consistenti, oltre il 10 per cento, interessano Modena e Piacenza. Il calo complessivo degli addetti risulta determinato dal calo sostenuto in tre province – Bologna, Piacenza e Rimini – in larga parte attribuibile alla dinamica di poche imprese di dimensioni maggiori. Nelle altre province il numero degli occupati risulta in aumento, in alcuni casi con incrementi superiori a quelli registrati dalle imprese con altra forma giuridica.

È la fotografia del settore cooperativo in Emilia-Romagna emersa dal 3° Rapporto biennale sulla Cooperazione 2020-2021, presentato durante la quinta conferenza regionale della cooperazione, incentrata sul Ruolo della cooperazione nello sviluppo di una società sempre più sostenibile e inclusiva che si è svolta a Bologna.

L’appuntamento si inserisce nella celebrazione del 2 luglio, Giornata internazionale della cooperazione, dedicata quest’anno al contributo che il sistema cooperativo mondiale può dare al raggiungimento, entro il 2030, dei diciassette obiettivi di sviluppo sostenibile indicati dall’Onu per contrastare la povertà, combattere il cambiamento climatico e garantire l’uguaglianza e l’inclusione di tutti. L’iniziativa, istituita nel 1994 dall’Onu in coincidenza dell’International Cooperative Day dell’Alleanza internazionale delle cooperative (International Co-operative Alliance), si celebra dal 1923.